I disturbi del neurosviluppo: quanti e quali sono?

Disturbi del neurosviluppo

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali ha ridefinito i disturbi del neurosviluppo come deficit che accompagnano diverse fasi della vita di un individuo. Ma in cosa consistono?

I disturbi del neurosviluppo si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo e prevedono dei deficit funzionali che incidono sul funzionamento personale, sociale, scolastico e lavorativo.

La loro categoria diagnostica è stata recentemente ridefinita nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5): in passato, infatti, si consideravano questi come disturbi tipici esclusivamente dell’infanzia e dell’adolescenza. Oggi, grazie all’evoluzione degli studi scientifici, sappiamo che non è così. Questi persistono infatti per tutta l’esistenza di un individuo, modificandosi nelle loro prestazioni – per questo, può succedere che non vengano riconosciuti.

All’interno dei disturbi di neurosviluppo, inoltre, sono state inserite diverse tipologie di disabilità intellettive come, ad esempio, quelle che determinano problemi nella comunicazione, nella capacità di attenzione o nell’apprendimento.

All’interno di questo genere di disturbi rientrano quindi:


Disabilità intellettive

Secondo il DSM-5 la disabilità intellettiva è “un disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti concettuali, sociali e pratici”.
Questa prevede un deficit delle capacità cognitive generali, come il ragionamento, il problem solving, la pianificazione, il pensiero astratto, la capacità di giudizio, l’apprendimento scolastico e l’apprendimento dell’esperienza. L’individuo con disabilità intellettiva non è quindi autonomo in numerosi aspetti della propria vita quotidiana.


Disturbi specifici dell’apprendimento

I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) hanno un’origine neurobiologica e riguardano specificatamente le abilità scolastiche come la lettura, la scrittura, la matematica nelle sue diverse sfaccettature (il senso del numero, il calcolo, i fatti numerici).


Disturbi della comunicazione

In quest’area ritroviamo disturbi fonetico-fonologico, i disturbi del linguaggio (DSL), della comunicazione sociale pragmatica e il disturbo della fluenza-balbuzie. Questi implicano una difficoltà nella comprensione, nella produzione e uso del linguaggio.


Disturbo da deficit di attenzione/iperattività

I disturbi di attenzione e iperattività (frequentemente riconosciuti con l’acronimo ADHD) sono disturbi del neurosviluppo caratterizzato da livelli invalidanti di scarsa attenzione e/o impulsività e iperattività eccessive. La disattenzione e la disorganizzazione comportano l’incapacità di mantenere l’attenzione, di curare i dettagli, di seguire le istruzioni e di organizzarsi. L’iperattività-impulsività, invece, comporta un elevato livello di attività e agitazione, come l’incapacità di rimanere seduti o di aspettare.


Disturbo dello spettro autistico

Il disturbo dello spettro autistico è caratterizzato un quadro complesso in cui emergono gravi difficoltà nel linguaggio, nella comunicazione e nell’interazione sociale. Il Disturbo infatti implica una incapacità a stabilire relazioni sociali normali fin dalle prime interazioni con i genitori. I bambini affetti dal disturbo hanno difficoltà nell’interazione in molteplici contesti dovuti anche a un utilizzo del linguaggio anomalo e limitato. Il comportamento tipico del disturbo dello spettrro autistico presenta un repertorio di comportamenti, interessi o attività limitato e ripetitivo.


Disturbi del movimento

I disturbi del movimento comprendono il disturbo dello sviluppo della coordinazione o disprassia, il disturbo da movimento stereotipato e i disturbi da tic. Questi si caratterizzano per un rallentamento motorio o, al contrario, per un eccesso di movimenti, sintomi che si differenziano in base al deficit presente nella persona (di coordinazione, stereotipato o da tic).


Disturbi del neurosviluppo senza specificazione

Si tratta di una categoria che viene applicata alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per qualificare l’individuo all’interno di uno qualsiasi dei disturbi del neurosviluppo. In questo caso, quindi, il clinico sceglie di non specificare un disturbo specifico per l’insufficienza di informazioni che possano condurre a una diagnosi specifica.

La teleriabilitazione in Italia: miraggio o realtà?

Gli ambienti sanitari stanno sviluppando nuove forme di riabilitazione digitali come la teleriabilitazione.
Il nostro Paese sembra però arrestarsi davanti a questa evoluzione.

La teleriabilitazione è una forma di presa in carico e assistenza da molto tempo conosciuta e utilizzata a livello internazionale nell’ambito dell’Health Technology Assessment. Questa tipologia di intervento, più diffusa e conosciuta per le patologie di ordine neuromotorio e in particolare per l’età adulta, consente di offrire servizi di riabilitazione utilizzando tecnologie di assistenza a distanza.

Negli ultimi anni e, soprattutto, con le difficoltà imposte dal lockdown, la teleriabilitazione ha però visto una crescita e un ampliamento del suo utilizzo. Questa ha iniziato a interessare anche i pazienti più piccoli affetti da disturbi del neurosviluppo come quelli di apprendimento, del linguaggio o dell’attenzione e iperattività.

Abbiamo parlato con il dottor Luigi Marotta, Logopedista e Membro della Consensus Conference sui DSA dell’Istituto Superiore di Sanità oltre che dell’Associazione Scientifica di Sanità Digitale, per capire in cosa consista questo tipo di intervento e come si sta sviluppando all’interno del nostro Paese.


Che cosa prevede la teleriabilitazione in età evolutiva?

Come per la telemedicina, con la teleriabilitazione viene scelto un percorso riabilitativo del bambino attraverso tecnologie che consentono di ridurre al minimo l’impatto che può provocare la distanza fisica. La necessità di proporre interventi a distanza anche in età evolutiva ha richiesto uno specifico adattamento delle modalità rispetto ai tradizionali metodi riabilitativi. Il bambino, infatti, deve essere inserito in un setting adeguato, con spazi pensati alle sue necessità. Inoltre, sarà per lui necessario il sostegno di un caregiver in funzione di mediatore non solo tecnologico ma anche psicoeducativo. I pazienti più piccoli, infatti, non sempre sono autonomi nell’utilizzo delle tecnologie e soprattutto in grado di auotregolarsi in un setting di questo tipo. L’affiancamento di un adulto adeguatamente formato permette oltretutto che si inizi ad educare il bambino fin da piccolo ad uso funzionale delle tecnologie.


Questo approccio viene considerato efficace quanto un intervento in presenza?

In generale, la letteratura sottolinea che i due processi possono essere entrambi efficaci in egual misura. Chiaramente un percorso integrato, dove alla teleriabilitazione viene affiancato un intervento in presenza, ha una ulteriore efficacia. Alcune dinamiche di gioco associate alle nuove tecnologie aumentano la motivazione e facilitano la focalizzazione dell’attenzione. Le nuove tecnologie permettono anche modalità di gioco condiviso a distanza che altrimenti non sarebbero possibili. Dobbiamo però ricordare che la scelta di questo genere di intervento deve essere valutata in base al profilo di funzionamento cognitivo, linguistico, motorio, adattivo ed emotivo del bambino. Per ottenere i migliori risultati, infatti, ogni intervento deve partire dalle potenzialità del bambino, tenere conto delle caratteristiche individuali, delle risorse ambientali ed essere quindi realmente personalizzato e ottimizzato.


Dopo aver accertato che il percorso sia adeguato al bambino, quali attori intervengono?

Quando si parla di teleriabilitazione si intende un percorso seguito da clinici, a differenza della teledidattica che è una metodologia che può essere seguita anche da insegnanti e pedagogisti. Anche se le diverse figure tra loro devono comunicare, hanno obiettivi e prerogative diverse: una lavora sullo sviluppo clinico e l’altra sullo sviluppo atipico. La strategia più efficace è sicuramente quella di unire i due percorsi, per facilitare maggiormente lo sviluppo del bambino che presenta un disturbo.

In ogni caso, è ovviamente necessario saper utilizzare i supporti tecnologici adeguati. Per questo tutti gli attori coinvolti nel training a distanza, dal clinico all’insegnante, dal genitore al caregiver di riferimento per il bambino, devono essere specificatamente formati e consapevoli delle richieste di adattività ed adattabilità tipiche dell’uso di nuovi strumenti.


Visto il suo potenziale, come viene utilizzata la teleriabilitazione in Italia?

Nel nostro Paese questa metodologia si è evoluta molto tardi ed è cresciuta prevalentemente durante l’emergenza causata dal Coronavirus. In paesi di grandi dimensioni, come ad esempio il Canada, l’Australia, o l’India, questa viene sperimentata e utilizzata da almeno 30 anni. I questi paesi si è dimostrata essere uno strumento fondamentale per ovviare alle difficoltà che le grandi distanze porrebbero ai pazienti. Ad oggi in Italia, mentre sono state recentemente pubblicate le Linee Guida sulla Telemedicina, non abbiamo ancora sviluppato delle linee guida specifiche in merito alla teleriabilitazione.  Abbiamo però provato a riadattare quelle internazionali alla nostra realtà: esistono, infatti, molti documenti al riguardo redatti dalle principali associazioni scientifiche nazionali ed è, inoltre, in fase di discussione un progetto dell’Istituto Superiore di Sanità proprio su quest’argomento.


Se un genitore volesse tentare un approccio alla teleriabilitazione per il proprio figlio, a chi dovrebbe rivolgersi?

Purtroppo ad oggi questa è riconosciuta come terapia erogabile dal Servizio Sanitario Nazionale solo in poche regioni. Questo rende molto più limitata la possibilità di accesso gratuito alle cure telematiche da parte delle famiglie. La questione è diventata ancora più grave a seguito della crisi pandemica per il  Covid.  Recentemente è stata però pubblicata una circolare del Ministero della Salute che invita le Strutture del Servizio Sanitario Nazionale a tener conto di questa tipologia di intervento. La cosa sarà ovviamente sarà affrontata a livello regionale, come è previsto dalle vigenti normative. Speriamo in una rapida presa d’atto e applicazione da parte dei servizi sanitari regionali. In questo modo potrà essere garantita una sanità più “accessibile” a tutte le famiglie italiane.

Linea Guida dell’ISS: alcune novità sulle questioni cliniche inerenti i DSA

Linea Guida

La Linea Guida è una revisione sistematica dei più recenti studi prodotti dalla comunità scientifica ed è volta a dare indicazioni alle scelte dei clinici e a tutte le figure che si occupano della gestione dei Disturbi Specifici di Apprendimento

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato nel novembre 2021 la nuova Linea Guida inerente la gestione dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). Questa fornisce le indicazioni cliniche più aggiornate redatte da esperti appartenenti alle principali associazioni scientifiche nazionali che si occupano delle tematiche sui DSA. Tali indicazioni sono frutto di una revisione sistematica accurata dei lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni da ricercatori di tutto il mondo. Il lavoro della Linea Guida, inoltre, nasce come revisione delle indicazioni già pubblicate dall’ISS negli anni precedenti, a partire dal documento più importante in materia, la Consensus Conference del 2010.

Per capire quali novità siano state introdotte, abbiamo intervistato il Dottor Luigi Marotta, logopedista e membro della Commissione Esecutiva per l’aggiornamento della Linea Guida.


L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato la nuova Linea Guida per i DSA a distanza di più di dieci anni dalla prima Consensus Conference. Lei è stato fra gli esperti che hanno contribuito alla stesura di questo importante documento: che cosa rappresentano?

La Linea Guida è un documento importantissimo a cui si devono riferire tutti i clinici che si occupano di DSA. Inoltre, questa ha ricadute anche negli ambienti non clinici, come la scuola, tutti gli enti educativi, le istituzioni. È pubblicata all’interno del sito dell’ISS nell’area dedicata al Piano Nazionale e rappresenta il frutto di un lavoro di tre anni svolto dai maggiori esperti appartenenti alle diverse associazioni scientifiche italiane.  È stato un importante passo che richiedeva queste lunghe tempistiche: le informazioni ricavate rappresentano, infatti, una integrazione delle scoperte scientifiche e cliniche più recenti sul riconoscimento (includendo anche gli indici predittivi e di fattori di rischio), la valutazione e la presa in carico di bambini, adolescenti e adulti con disturbo specifico di apprendimento. Queste esaminano numerose questioni inerenti i DSA e il loro trattamento, integrano nuove indicazioni per le diagnosi esistenti e presentano indicazioni specifiche per le diagnosi completamente nuove.


Perché è stato necessario rivedere quelle esistenti?

Come tutti Documenti Linee Guida, queste devono essere aggiornate costantemente visto lo sviluppo costante e veloce delle conoscenze e le nuove evidenze scientifiche. Rinnovare tali raccomandazioni è necessario per far sì che i clinici abbiano una visione più completa su come affrontare le problematiche delle persone con DSA, nonché per promuovere degli effetti positivi anche in altri ambiti come quello scolastico, socio-assistenziale e lavorativo.

I principali obiettivi che ci siamo posti sono stati, quindi, quelli di includere nel documento finale aspetti precedentemente non presi in considerazione. Inoltre, abbiamo voluto risolvere gli aspetti controversi nelle pratiche diagnostiche attuali, uniformare i protocolli diagnostici e migliorare i protocolli riabilitativi, ovvero le indicazioni per la riabilitazione.


Quali sono quindi le principali novità?

Oltre a parlare di aggiornamenti dobbiamo anche includere delle novità.
I primi hanno visto un ammodernamento rispetto ad abilità già studiate in passato (ne sono un esempio gli indicatori predittivi). Tuttavia, le innovazioni principali riguardano dei quesiti che, fino ad oggi, non erano mai stati presi in considerazione.

Un primo esempio è la diagnosi di DSA nell’adulto. La sua introduzione rappresenta un passo molto importante, soprattutto per l’applicazione della legge 170 sui DSA, la quale consentirà adesso di svolgere esami – quali, ad esempio, concorsi pubblici, patenti o simili – ma tenendo conto delle difficoltà di lettura del soggetto. Ciò significa che quest’ultimo sarà certificato nelle difficoltà dovute al proprio disturbo.

Una seconda novità ha invece visto l’introduzione della diagnosi di DSA per persone esposte a bilinguismo. Considerando il carattere sempre più multiculturale della nostra società era uno step fondamentale e imprescindibile: si pensi alla valutazione di un bambino che è appena arrivato nel nostro Paese e non riesce ancora a leggere un testo. Sicuramente non potremmo valutarlo con le stesse modalità di chi è nato e vissuto qua ed è da sempre esposto a letture e scritture in italiano.

Infine, come ultima novità abbiamo individuato una nuova declinazione del disturbo specifico di comprensione al testo. Questa può rendere complessa la comprensione del significato di un brano per coloro che sanno leggere perfettamente. Il fattore può diventare molto invalidante nella vita quotidiana e merita una specifica diagnosi e terapia compensativa.


Le linee guida sono quindi pensate per i clinici?

Si, poiché si rivolgono primariamente alle diverse figure professionali coinvolte nella ricerca, nella diagnosi e nel trattamento delle persone con DSA. Queste rappresentano, infatti, ciò che la comunità scientifica ha dimostrato servire ad avvalorare le scelte terapeutiche di chi lavora su questi disturbi.
Ma le implicazioni delle raccomandazioni investono, naturalmente, anche gli ambiti scolastico, lavorativo e assistenziale.


Esistono anche delle Linee Guida apposite per gli insegnanti?

Per quanto riguarda i docenti le linee guida vengono stabilite dal Ministero dell’Istruzione e pubblicate sul suo sito. Anche queste hanno visto degli aggiornamenti e dei nuovi protocolli operativi negli ultimi anni.


Mentre per i genitori?

Generalmente le Linee Guida vengono date a chi lavora con i bambini, ma i genitori hanno preso parte al processo decisionale dietro le nuove direttive. Questo perché potessero condividere la loro esperienza quotidiana rispetto alla patologia.
Esistono comunque tanti documenti, come ad esempio quello pubblicato dall’Associazione Italiana Dislessia, dove si spiega il disturbo al genitore e gli si danno dei consigli.

Come individuare un DSA?

individuare un DSA

La presenza di fattori di rischio nei DSA e gli indici che possono condurre a una sua identificazione: le risposte della Dottoressa Sara Giovagnoli e i riferimenti ai maggiori studi condotti in merito al disturbo.

Le traiettorie di sviluppo di un individuo rispondono a un complesso intreccio di fattori di rischio, riferiti tanto all’individuo stesso quanto al contesto in cui è inserito. Sono proprio questi fattori che possono condurre alla presenza di un disturbo come quello Specifico dell’Apprendimento nel soggetto.
In un’intervista con la Dottoressa Sara Giovagnoli abbiamo parlato di cosa si intenda per Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), ma quali sono i fattori che possono portare alla sua presenza? Ed è possibile individuare in anticipo un Disturbo Specifico dell’Apprendimento?


I “fattori di rischio” associati ai DSA

Per “fattore di rischio” si intende una condizione che risulta staticamente associata a una malattia o a un disturbo e che, pertanto, si ritiene possa essere correlata alla sua patogenesi, favorendone lo sviluppo o accelerandone il decorso.

Tra i fattori di rischio per cui è stata dimostrata o ipotizzata l’associazione con lo sviluppo di DSA vi è:

  • Aver subito due o più anestesie generali successive al parto e prima dei quattro anni di vita;
  • Appartenenza al genere maschile;
  • Presenza di un disturbo del linguaggio;
  • Familiarità nel nucleo familiare per DSA.

L’assenza di tali fattori non esclude la comparsa di patologie o disturbi, ma la sua compresenza aumenta notevolmente il rischio di comparsa della condizione clinica. A fronte di ciò è quindi possibile individuare nel bambino i cosiddetti “indici predittivi”, ovvero caratteristiche associate al paziente le quali possono rivelare determinate condizioni cliniche e il loro sviluppo.


Quali sono gli indici predittivi che suggeriscano la presenza del disturbo?

Nel caso della diagnostica di un DSA, gli indici predittivi possono essere osservati al meglio all’interno di un contesto scolastico, riuscendo a misurare il funzionamento cognitivo e linguistico del paziente.

Sebbene la normativa vigente stabilisca che un disturbo dell’apprendimento possa essere accertato solo al secondo anno (per l’area della scrittura o della lettura) o al terzo anno (per l’area della matematica) della scuola primaria, è possibile identificare con anticipo alcune caratteristiche dalle quali ipotizzare la presenza del disturbo.

Gli indici predittivi della presenza di DSA riguardano aspetti legati all’elaborazione fonologica, metafonologica e al linguaggio– spiega la Dottoressa Giovagnoli -. È importante anche valutare la funzionalità delle abilità cognitive “trasversali” agli apprendimenti, come ad esempio la memoria, l’attenzione e le funzioni esecutive così come le abilità prassico-motorie. Domande tipiche che vengono fatte in fase anamnestica riguardano eventuali difficoltà del bambino nell’imparare ad allacciarsi le scarpe o i bottoni, o a imparare a distinguere la destra dalla sinistra o ancora a memorizzare le filastrocche o i giorni della settimana”.

Nonostante tali riferimenti è però necessario ricordare che gli studi inerenti al rapporto tra i determinati predittori in età prescolare e gli esiti di DSA siano scarsi e, nella maggior parte dei casi, condotti su una campione anglofono. Il che rende difficile traslare i risultati su una popolazione italiana. Tuttavia, in accordo con i più accreditati modelli teorici relativa al disturbo, è stato evidenziato come ogni indice predittivo contribuisca in maniera variabile e possa mutare nel tempo: proprio per questo è stato raccomandato di non anticipare in alcun modo la diagnosi del disturbo, che potrebbe non verificarsi realmente.

Che cosa significa avere un Disturbo Specifico dell’Apprendimento?

disturbi specifici dell'apprendimento

L’intervista alla Dottoressa Sara Giovagnoli per scoprire che cosa si intenda con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Negli ultimi anni si stima che i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) interessino circa il 3% della popolazione scolastica italiana, con un incremento che ha visto il suo picco nell’ultimo decennio.
Sebbene i disturbi più diffusi siano ormai conosciuti – come dislessia, disortografia o discalculia –, molte sono le conseguenze correlate che meritano approfondimento.

Per capire meglio cosa sia un DSA e quali caratteristiche comporti la sua presenza nello sviluppo del bambino, abbiamo intervistato la Dottoressa Sara Giovagnoli, Psicologa e ricercatrice del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Bologna.


Dottoressa, è errato parlare dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento come una patologia: quindi, cosa significa avere un DSA e come parlarne?

Già dall’acronimo possiamo riferirci al fatto che un “disturbo” non rappresenti una patologia: questo si riferisce, infatti, a una caratterizzazione del funzionamento di un individuo. Ha un’origine neurobiologica, ciò significa che si nasce con questa caratteristica, ed è “specifico” perché riguarda determinate abilità del funzionamento cognitivo legate agli apprendimenti.


Solitamente a quale età viene diagnosticato il disturbo?

La diagnosi può essere accertata solo al termine della seconda classe della scuola primaria per quanto riguarda l’area della lettura (dislessia) e della scrittura (disortografia). Per quanto concerne, invece, l’area della matematica (discalculia), dobbiamo aspettare la fine della terza classe. Sebbene i segni della presenza del disturbo siano individuabili anche in precedenza è necessario aspettare il temine della seconda o terza classe in quanto ogni bambino ha dei tempi di sviluppo diversificati. Di conseguenza, dobbiamo attendere che alcuni processi giungano a maturazione per poter accertare o escludere la presenza del disturbo. È importante sottolineare tale aspetto, perché ci ricorda che ogni bambino o bambina con DSA è un individuo a sé stante. A parità di disturbo, quindi, potremmo trovarci di fronte a individui con un funzionamento e abilità molto differenti. Il profilo di funzionamento del singolo determina sia la severità del disturbo che gli effetti che possono derivarne.


Tra gli effetti ci possono essere anche difficoltà sul piano emotivo?

Assolutamente. Le conseguenze sul piano emotivo sono enormi, soprattutto nei casi di diagnosi tardiva, quando la presenza del disturbo non viene individuata in modo precoce e quindi non si attiva subito una rete di sostegno o di intervento intorno al bambino. La presenza di difficoltà scolastiche può determinare una serie di conseguenze importanti dal punto di vista emozionale.


Queste possono presentarsi anche lungo il percorso scolastico del bambino?

Si, sicuramente quello è l’ambiente da cui derivano la maggior parte delle frustrazioni. Dobbiamo infatti ricordare che la scuola è il fulcro della vita di un bambino: all’interno dell’ambiente scolastico il bambino trascorre molte ore e si sperimenta in situazioni significative. A scuola cresce dal punto di vista sociale, emotivo e relazionale. Nella propria classe impara a rispettare le regole e a costruire la relazione con l’adulto di riferimento, oltre che a creare i primi legami e le prime relazioni amicali.

Stare a scuola, per coloro che hanno difficoltà di apprendimento, può quindi trasformarsi velocemente in una situazione che genera vissuti di disagio: la presenza di difficoltà di apprendimento espone il bambino a un giudizio da parte della comunità scolastica e dal gruppo dei pari, che spesso tendono a escluderlo. Questo ha una ricaduta sul benessere dell’individuo che inizierà a chiedersi perché, pur impegnandosi quanto e come i suoi compagni, non riesca a raggiungere i loro stessi risultati. Se pensiamo che i bambini costruiscono la propria autostima a scuola generalizzandola poi a tutti gli ambienti di vita, risulta chiaro che, per coloro che presentano un DSA, la frustrazione porti a delle conseguenze che si allargano anche ad altri contesti.


I disturbi specifici dell’apprendimento possono quindi influenzare il futuro del bambino?

La letteratura recente ci dice che i bambini con disturbi specifici dell’apprendimento, mediamente a tutte le età, presentano livelli più elevati di sintomatologia ansiosa e depressiva rispetto a coloro che non hanno difficoltà scolastiche. Le conseguenze si rispecchiano, quindi, anche nelle future scelte dell’individuo che, vivendosi come poco efficace nello studio, percepisce difficili le scelte della scuola secondaria di secondo grado, dell’università o, addirittura, del posto di lavoro: il ventaglio di opzioni verrà autoridotto, visto il proprio vissuto di inadeguatezza e di frustrazione a livello di funzionamento scolastico.
L’effetto sul futuro dipende molto anche dal fatto che i bambini abbiano avuto o meno una diagnosi precoce e da cosa sia stato fatto dopo l’identificazione del disturbo. Quanto prima si interviene, minore sarà la possibilità per il bambino di sviluppare disagi emozionali e maggiori saranno le prospettive future percepite.


Dobbiamo comunque ricordare che non esiste una cura.

No, purtroppo. Essendo un disturbo non esiste una vera e propria cura, ma molto può esser fatto per compensare le difficoltà che si rispecchiano principalmente sul lato degli apprendimenti e sull’ambiente scolastico.


Esistono quindi degli strumenti compensativi?

Si, esistono numerosi strumenti compensativi e sono specifici per i diversi profili di difficoltà. Si chiamano “compensativi” in quanto sono utili per supportare le fragilità del bambino. Inoltre, esistono anche strategie e interventi di potenziamento che sono volti a rinforzare le abilità compromesse. Come abbiamo detto, infatti, ogni bambino presenta delle specificità individuali e l’identificazione dei punti di forza e di debolezza ci permette di pianificare delle strategie personalizzate e adeguate in cui cercare non solo di compensare le debolezze, ma anche di potenziare proprio quelle che sono le abilità preservate. Questo approccio ha un risvolto positivo sulle abilità del soggetto, andando a giovare anche sulla sua autostima grazie al senso di autoefficacia che deriva dal viversi come competente.
Per gli strumenti compensativi e di potenziamento possiamo oggigiorno sfruttare le nuove tecnologie, che utilizzano un linguaggio accattivante e facilmente comprensibile dal bambino o dall’adolescente. Il mio team sta sviluppando dei “serious game”, ovvero videogiochi con finalità educative che possono incrementare da un lato il coinvolgimento del bambino e dall’altro la sua motivazione – che sappiamo essere il vero motore per determinare un cambiamento.


Il nuovo gioco di Develop-Players, Proffilo, è un esempio?

Proffilo è uno strumento digitale utile per la valutazione del profilo di funzionamento del bambino che ci permette di individuare i punti di debolezza e quelli di forza. Questo aspetto, come detto in precedenza, è molto importante perché permette di identificare non solo gli aspetti compromessi ma anche le abilità preservate. Tale valutazione permette di ottenere una fotografia del funzionamento del bambino fondamentale per la pianificazione di interventi efficaci e individualizzati.


E dal punto di vista del genitore cosa è consigliato fare se si sospetta che il figlio possa avere dei disturbi specifici dell’apprendimento?

Sicuramente un primo passo è conoscere. La consapevolezza di cosa è – e cosa non è – un DSA è un importante punto di partenza.  A fronte di un dubbio circa la presenza di disturbi di apprendimento nel bambino (dubbio derivante dalla famiglia o dagli insegnanti), il genitore deve rivolgersi a uno specialista per effettuare la valutazione diagnostica. Nel caso fosse confermata la presenza del disturbo, è quindi importante che anche il genitore (o chi segue il bambino) entri in contatto ed impari ad utilizzare gli strumenti e le strategie che possono essere utili a supportare il bambino nelle attività scolastiche. Fondamentale è tenere in considerazione anche la dimensione emozionale legata alla presenza del disturbo. Il potersi riferire ad una rete di supporto emotivo e/o concreto può sostenere il bambino e la sua famiglia ed evitare l’instaurarsi di dinamiche disfunzionali che potrebbero portare ad esiti negativi.

Il valore di Proffilo e delle nostre formazioni

Attraverso le formazioni, abbiamo la possibilità di entrare in contatto e collaborare con gli insegnanti, coloro che lavorano quotidianamente con i ragazzi e con le loro difficoltà. Questa collaborazione non solo ci permette di promuovere una maggiore consapevolezza del profilo cognitivo dei ragazzi con difficoltà di apprendimento, utile ad individuare le strategie didattiche più efficaci, ma dà vita anche ad un approccio nel quale si cerca di comprendere i ragazzi sul piano emotivo. 

“Ho seguito tante formazioni sui DSA all’interno delle quali ho acquisito molte informazioni circa le cause e le manifestazioni di questi disturbi. Grazie agli incontri con il team di Develop-players ho avuto modo non solo di aumentare le mie conoscenze generali sui DSA, ma anche su quelle abilità trasversali come la memoria e l’attenzione, che ho scoperto essere fondamentali nei processi di apprendimento.”

Silvia – Docente in una scuola secondaria di primo grado

Alla luce delle ricerche presenti in letteratura, e alle sempre più frequenti evidenze cliniche, abbiamo deciso di inserire all’interno dei nostri progetti di formazione degli approfondimenti relativi ai vissuti emozionali legati alle difficoltà scolastiche. Recentemente, è infatti emerso un aumento della sofferenza psicologica legata alle problematiche in campo scolastico e noi siamo convinti che la scuola abbia un ruolo prezioso nell’accompagnare gli alunni verso un sereno ed efficace percorso formativo che li aiuti nella scelta del proprio futuro, anche professionale. 

“Finalmente una formazione concreta! Develop-players mi ha aiutato a costruire strategie utili al potenziamento dandomi indicazioni ed esempi concreti su come renderle operative in classe. Le linee guida in materia di DSA richiedono alla scuola di utilizzare strumenti che permettano l’individuazione precoce di questi disturbi e l’attivazione di percorsi specifici che agiscano sulle difficoltà riscontrate. Gli strumenti proposti da Develop-players rispondono a questa esigenza”

Giorgia – Docente in una scuola primaria

All’interno delle nostre formazioni proponiamo e costruiamo insieme agli insegnanti delle attività e strategie di potenziamento delle abilità utili all’apprendimento, pensate sia per il singolo che per la classe, che si avvalgono anche dell’utilizzo di tecnologie emergenti, strumenti che ci permettono di aiutare la scuola ad avvicinarsi al linguaggio delle nuove generazioni.

“Era da tempo che volevo parlare di comunicazione ed emozioni in classe!”

Federica – Docente in una scuola secondaria di secondo grado