L’intervista alla Dottoressa Sara Giovagnoli per scoprire che cosa si intenda con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.
Negli ultimi anni si stima che i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) interessino circa il 3% della popolazione scolastica italiana, con un incremento che ha visto il suo picco nell’ultimo decennio.
Sebbene i disturbi più diffusi siano ormai conosciuti – come dislessia, disortografia o discalculia –, molte sono le conseguenze correlate che meritano approfondimento.
Per capire meglio cosa sia un DSA e quali caratteristiche comporti la sua presenza nello sviluppo del bambino, abbiamo intervistato la Dottoressa Sara Giovagnoli, Psicologa e ricercatrice del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Bologna.
Dottoressa, è errato parlare dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento come una patologia: quindi, cosa significa avere un DSA e come parlarne?
Già dall’acronimo possiamo riferirci al fatto che un “disturbo” non rappresenti una patologia: questo si riferisce, infatti, a una caratterizzazione del funzionamento di un individuo. Ha un’origine neurobiologica, ciò significa che si nasce con questa caratteristica, ed è “specifico” perché riguarda determinate abilità del funzionamento cognitivo legate agli apprendimenti.
Solitamente a quale età viene diagnosticato il disturbo?
La diagnosi può essere accertata solo al termine della seconda classe della scuola primaria per quanto riguarda l’area della lettura (dislessia) e della scrittura (disortografia). Per quanto concerne, invece, l’area della matematica (discalculia), dobbiamo aspettare la fine della terza classe. Sebbene i segni della presenza del disturbo siano individuabili anche in precedenza è necessario aspettare il temine della seconda o terza classe in quanto ogni bambino ha dei tempi di sviluppo diversificati. Di conseguenza, dobbiamo attendere che alcuni processi giungano a maturazione per poter accertare o escludere la presenza del disturbo. È importante sottolineare tale aspetto, perché ci ricorda che ogni bambino o bambina con DSA è un individuo a sé stante. A parità di disturbo, quindi, potremmo trovarci di fronte a individui con un funzionamento e abilità molto differenti. Il profilo di funzionamento del singolo determina sia la severità del disturbo che gli effetti che possono derivarne.
Tra gli effetti ci possono essere anche difficoltà sul piano emotivo?
Assolutamente. Le conseguenze sul piano emotivo sono enormi, soprattutto nei casi di diagnosi tardiva, quando la presenza del disturbo non viene individuata in modo precoce e quindi non si attiva subito una rete di sostegno o di intervento intorno al bambino. La presenza di difficoltà scolastiche può determinare una serie di conseguenze importanti dal punto di vista emozionale.
Queste possono presentarsi anche lungo il percorso scolastico del bambino?
Si, sicuramente quello è l’ambiente da cui derivano la maggior parte delle frustrazioni. Dobbiamo infatti ricordare che la scuola è il fulcro della vita di un bambino: all’interno dell’ambiente scolastico il bambino trascorre molte ore e si sperimenta in situazioni significative. A scuola cresce dal punto di vista sociale, emotivo e relazionale. Nella propria classe impara a rispettare le regole e a costruire la relazione con l’adulto di riferimento, oltre che a creare i primi legami e le prime relazioni amicali.
Stare a scuola, per coloro che hanno difficoltà di apprendimento, può quindi trasformarsi velocemente in una situazione che genera vissuti di disagio: la presenza di difficoltà di apprendimento espone il bambino a un giudizio da parte della comunità scolastica e dal gruppo dei pari, che spesso tendono a escluderlo. Questo ha una ricaduta sul benessere dell’individuo che inizierà a chiedersi perché, pur impegnandosi quanto e come i suoi compagni, non riesca a raggiungere i loro stessi risultati. Se pensiamo che i bambini costruiscono la propria autostima a scuola generalizzandola poi a tutti gli ambienti di vita, risulta chiaro che, per coloro che presentano un DSA, la frustrazione porti a delle conseguenze che si allargano anche ad altri contesti.
I disturbi specifici dell’apprendimento possono quindi influenzare il futuro del bambino?
La letteratura recente ci dice che i bambini con disturbi specifici dell’apprendimento, mediamente a tutte le età, presentano livelli più elevati di sintomatologia ansiosa e depressiva rispetto a coloro che non hanno difficoltà scolastiche. Le conseguenze si rispecchiano, quindi, anche nelle future scelte dell’individuo che, vivendosi come poco efficace nello studio, percepisce difficili le scelte della scuola secondaria di secondo grado, dell’università o, addirittura, del posto di lavoro: il ventaglio di opzioni verrà autoridotto, visto il proprio vissuto di inadeguatezza e di frustrazione a livello di funzionamento scolastico.
L’effetto sul futuro dipende molto anche dal fatto che i bambini abbiano avuto o meno una diagnosi precoce e da cosa sia stato fatto dopo l’identificazione del disturbo. Quanto prima si interviene, minore sarà la possibilità per il bambino di sviluppare disagi emozionali e maggiori saranno le prospettive future percepite.
Dobbiamo comunque ricordare che non esiste una cura.
No, purtroppo. Essendo un disturbo non esiste una vera e propria cura, ma molto può esser fatto per compensare le difficoltà che si rispecchiano principalmente sul lato degli apprendimenti e sull’ambiente scolastico.
Esistono quindi degli strumenti compensativi?
Si, esistono numerosi strumenti compensativi e sono specifici per i diversi profili di difficoltà. Si chiamano “compensativi” in quanto sono utili per supportare le fragilità del bambino. Inoltre, esistono anche strategie e interventi di potenziamento che sono volti a rinforzare le abilità compromesse. Come abbiamo detto, infatti, ogni bambino presenta delle specificità individuali e l’identificazione dei punti di forza e di debolezza ci permette di pianificare delle strategie personalizzate e adeguate in cui cercare non solo di compensare le debolezze, ma anche di potenziare proprio quelle che sono le abilità preservate. Questo approccio ha un risvolto positivo sulle abilità del soggetto, andando a giovare anche sulla sua autostima grazie al senso di autoefficacia che deriva dal viversi come competente.
Per gli strumenti compensativi e di potenziamento possiamo oggigiorno sfruttare le nuove tecnologie, che utilizzano un linguaggio accattivante e facilmente comprensibile dal bambino o dall’adolescente. Il mio team sta sviluppando dei “serious game”, ovvero videogiochi con finalità educative che possono incrementare da un lato il coinvolgimento del bambino e dall’altro la sua motivazione – che sappiamo essere il vero motore per determinare un cambiamento.
Il nuovo gioco di Develop-Players, Proffilo, è un esempio?
Proffilo è uno strumento digitale utile per la valutazione del profilo di funzionamento del bambino che ci permette di individuare i punti di debolezza e quelli di forza. Questo aspetto, come detto in precedenza, è molto importante perché permette di identificare non solo gli aspetti compromessi ma anche le abilità preservate. Tale valutazione permette di ottenere una fotografia del funzionamento del bambino fondamentale per la pianificazione di interventi efficaci e individualizzati.
E dal punto di vista del genitore cosa è consigliato fare se si sospetta che il figlio possa avere dei disturbi specifici dell’apprendimento?
Sicuramente un primo passo è conoscere. La consapevolezza di cosa è – e cosa non è – un DSA è un importante punto di partenza. A fronte di un dubbio circa la presenza di disturbi di apprendimento nel bambino (dubbio derivante dalla famiglia o dagli insegnanti), il genitore deve rivolgersi a uno specialista per effettuare la valutazione diagnostica. Nel caso fosse confermata la presenza del disturbo, è quindi importante che anche il genitore (o chi segue il bambino) entri in contatto ed impari ad utilizzare gli strumenti e le strategie che possono essere utili a supportare il bambino nelle attività scolastiche. Fondamentale è tenere in considerazione anche la dimensione emozionale legata alla presenza del disturbo. Il potersi riferire ad una rete di supporto emotivo e/o concreto può sostenere il bambino e la sua famiglia ed evitare l’instaurarsi di dinamiche disfunzionali che potrebbero portare ad esiti negativi.