La responsabilità tra le parti e l’importanza di far nascere un confronto costante: con Sara Magri parliamo della necessità di implementare la comunicazione scuola-famiglia a fronte di disturbi specifici di apprendimento
L’individuazione di disturbi come quelli di apprendimento vede la necessità di collaborazione tra più soggetti per far sì che lo studente possa vivere serenamente l’accettazione della diagnosi. Una corretta comunicazione tra clinico e famiglia è fondamentale. Ma lo è anche il rapporto che nasce nell’ambito scuola-famiglia: questi sono, infatti, i due ambienti in cui il bambino o il ragazzo si troverà quotidianamente a vivere.
Per riuscire a comprendere quanto tale rete di comunicazione rappresenti un elemento chiave per aiutare chi ha un DSA, abbiamo intervistato Sara Magri, ex ricercatrice nell’ambito degli interventi per bambini e ragazzi con difficoltà di apprendimento e disordini neuro-evolutivi presso il servizio SPEV e responsabile di corsi di formazione per professionisti, educatori, insegnanti in materia di disturbi dell’apprendimento per Develop Players.
Quanto pesa la comunicazione scuola-famiglia e quali sono le responsabilità dei due soggetti nell’intercettazione e valutazione di un DSA?
L’efficacia della comunicazione è sempre fondamentale ma, nel caso della presenza di un disturbo di apprendimento nel bambino o ragazzo, lo è maggiormente. Per prima cosa, questa è fondamentale nel processo di riconoscimento del disturbo, dove occorre che entrambi gli attori si attivino e collaborino nel riconoscere i segni precoci del disturbo e si attivino per approfondirne le caratteristiche.
In questo senso, possono essere i genitori che per primi decidono di consultare l’insegnante per avere delle conferme sulle difficoltà del figlio e, di conseguenza, sulla necessità di fare una valutazione clinica. Oppure spesso avviene che siano i docenti che, notando degli impedimenti nel percorso scolastico dello studente, decidano di consigliare alle famiglie di fare degli accertamenti.
Sebbene il monitoraggio del bambino sia responsabilità di entrambi, è sempre il genitore a scegliere se e come muoversi (in centri privati o in strutture sanitarie territoriali) per ottenere una valutazione. Dopo questo primo passo, la collaborazione deve avvenire anche in quelli successivi, ovvero la pianificazione di un percorso didattico personalizzato e il monitoraggio degli apprendimenti.
Cosa avviene dopo la valutazione diagnostica?
Dopo aver effettuato una visita e constatato il disturbo, la relazione stilata dai clinici deve essere consegnata alla scuola. Nella maggior parte dei casi, i due soggetti citati non comunicano direttamente tra loro, per questo il genitore si fa mediatore tra le parti: raccoglie la valutazione clinica e la rilascia all’istituto scolastico che, durante il primo consiglio di classe disponibile, si attiverà per mettere in pratica tutte le misure dispensative e compensative necessarie allo studente, creando per lui un piano didattico personalizzato (PDP).
Il PDP rappresenterà il documento scritto scuola-famiglia-studente che vedrà i docenti responsabili dell’attivazione delle misure compensative e dispensative necessarie all’alunno con DSA e ai genitori nel lavoro di responsabilizzazione verso gli obiettivi che il proprio figlio dovrà perseguire.
Nel PDP non è prevista, invece, la collaborazione della famiglia?
Sebbene il genitore non sia obbligato ad attivarsi nei percorsi specifici scelti per il proprio figlio, è sempre consigliabile che gli insegnanti gli suggeriscano delle strategie da applicare in ambito domestico. In aggiunta a questo, sarebbe poi auspicabile programmare degli incontri allargati tra scuola e famiglia per condividere quanto fatto in classe con l’alunno. Entrambe le parti, infatti, sono soggetti fondamentali per la vita del bambino, per questo la loro costante collaborazione è un buon punto di partenza per aiutare al meglio il soggetto con DSA.
Qualora si presentassero delle barriere linguistiche o culturali si potrebbe ostacolare questa comunicazione?
Come abbiamo visto in un precedente articolo, un bambino che presenta un’interferenza linguistica molto importante viene inserito in quelli che si definiscono bisogni educativi speciali o BES e, prima di effettuare una valutazione per la presenza di DSA, deve essere esposto alla lingua per almeno tre anni. È comunque possibile che se il bambino abbia difficoltà linguistiche, queste siano presenti anche all’interno della famiglia. Il che non rappresenta un problema: in tal caso, si richiede l’ausilio di mediatori culturali attraverso l’asl per far in modo che si possa realizzare la comunicazione tra l’ambito domestico e quello scolastico.
Perché la comunicazione scuola-famiglia è sempre fondamentale.
Nel caso in cui tale rapporto esista e funzioni, si incorrerà in numerosi benefici soprattutto per il bambino. La costruzione di un dialogo e la regolarità degli incontri può abbassare le ansie e i risentimenti che spesso si creano in assenza di una collaborazione. Ciò darà modo al bambino di lavorare al meglio sul suo apprendimento: si è constatato infatti che le emozioni negative che lo circondano possono avere delle conseguenze sul suo percorso.
Dalla tua esperienza diretta puoi confermare una reale esistenza di questa rete tra scuola e famiglia? Ed è cambiata nel corso del tempo?
Indubbiamente è migliorata negli anni grazie anche alla maggiore conoscenza e consapevolezza riguardo alle caratteristiche dei disturbi di apprendimento. Nonostante ciò, c’è ancora molto da lavorare. Spesso le due parti si trovano ad affrontare delle incomprensioni derivanti dal carico di impegni che entrambe presentano. Sia scuola che famiglia soffrono di una mancanza di tempo e di “spazio mentale” per dedicarsi alla cura del loro rapporto. Questa difficoltà, inoltre, si accentua con l’avanzare dell’età dello studente: rispetto all’età adolescenziale è sicuramente necessario migliorare la rete di comunicazione in modo ancor più significativo.
Questa può essere migliorata attraverso un mediatore che aiuti nell’instaurazione del rapporto o questo deve obbligatoriamente nascere da una delle due parti?
Il clinico è una delle figure più importanti: è lui che valuta e diagnostica il disturbo, è quindi possibile che si presenti la necessità di intervenire in un dialogo con la scuola. Questo può essere un punto di inizio per mettere in contatto tra loro i due soggetti. Nell’implementazione del rapporto possono intervenire anche delle figure interne alla scuola. Ogni istituto, infatti, ha un referente per i DSA informato su tutti gli aspetti dei disturbi e che si fa garante dei diritti del ragazzo. È quest’ultimo che si occupa della comunicazione tra docenti e famiglia nel caso che il rapporto non nasca spontaneamente.