Dislessia: l’importanza della diagnosi e i dei percorsi di intervento

La Dottoressa Sara Magri ci parla dell’impatto che può avere una dislessia mai diagnosticata e quali siano gli strumenti compensativi per potenziare le difficoltà collegate al disturbo

In un precedente articolo abbiamo descritto che cosa s’intenda per “dislessia”: quali siano le cause e i sintomi che caratterizzano il disturbo, oltre che il percorso da seguire per ottenere una diagnosi certa.

Non essendo una malattia, la dislessia non prevede né una cura né una guarigione effettiva. Ciò che può essere fatto è, invece, stabilire un percorso di potenziamento delle capacità tramite opportuni strumenti di training cognitivo.

Ma quanto è fondamentale una diagnosi precoce e un intervento mirato sul disturbo?

Lo abbiamo chiesto a Sara Magri, assegnista di ricerca nell’ambito degli interventi per bambini e ragazzi con difficoltà di apprendimento e disordini neuro-evolutivi presso il servizio SPEV del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna e responsabile di corsi di formazione per professionisti, educatori, insegnanti in materia di disturbi dell’apprendimento per Develop Players.


Dottoressa Magri, prima di parlare di come poter intervenire sul disturbo è importante che questo venga diagnosticato: quando si incorre in difficoltà di lettura dopo il secondo anno di scuola primaria dovremmo sospettare sempre una dislessia o si può più semplice immaginare un ritardo nell’apprendimento?

Superati gli 8-10 anni di età una grave difficoltà nella lettura in termini di lentezza ed errori dovrebbe rappresentare un campanello di allarme per i genitori e/o insegnanti. In ogni caso, per essere certi della presenza di un disturbo come quello della dislessia evolutiva, il bambino dovrebbe essere sottoposto a specifici test che saranno in grado di confrontare i tempi di lettura e il numero di errori con quelli tipici per la sua fascia d’età. Per ogni età, infatti, esistono dei parametri specifici standardizzati e riconosciuti a livello nazionale.

Non si può certamente parlare di semplice “pigrizia nell’apprendimento” quando un bambino, dopo esser stato valutato dallo psicologo con un test di valutazione approfondito, non riesce a raggiungere il livello tipico di lettura, ovvero adeguato alla sua età.: In quel caso si tratta certamente di dislessia. Inoltre, sempre il clinico deve valutare se la difficoltà di lettura non derivi da altre condizioni interagenti come la presenza di fattori ambientali ed educativi (ad esempio, un ambiente familiare con alta deprivazione culturale, linguistica o educativa), la presenza di gravi deficit sensoriali e intellettivi o problemi severi nella sfera emotiva.


Al contrario, cosa accadrebbe qualora la dislessia non fosse diagnosticata? Si potrebbe incorrere nell’aggravarsi del disturbo?

Più che acuirsi, è più corretto dire che il disturbo specifico potrebbe evolvere in conseguenze negative anche su altri piani. Infatti, ciò che spesso succede quando il disturbo non viene riconosciuto è un aggravarsi dell’impatto dello stesso sul piano emotivo. Le ricerche in materia hanno confermato che nella popolazione con DSA sono frequenti disturbi psicologici quali ansia e/o depressione ma anche sintomi somatici e disturbi comportamentali. Il rischio di sviluppare questi squilibri potrebbe aumentare nel caso non sia possibile per il ragazzo riconoscere con la diagnosi l’origine delle proprie difficoltà.


È quindi fondamentale chiarire il prima possibile se sia presente o meno il disturbo.

La diagnosi è fondamentale non solo per aiutare il soggetto a intraprendere un percorso riabilitativo che possa migliorare le proprie abilità, ma anche per chiarire al ragazzo e alla sua famiglia che cosa significhi davvero avere la “dislessia”.

Ciò che molti non sanno è che chi presenta questo disturbo ha una capacità intellettiva nella norma. Mettere il bambino davanti a questa consapevolezza può cambiare il suo approccio verso le difficoltà che quotidianamente prova. Al contrario, nel caso di una “non diagnosi”, il bambino e/o adolescente potrebbe credere che i suoi deficit siano dovuti a una ridotta intelligenza e abilità. Ciò potrebbe portare ad un disinvestimento nel proprio percorso formativo o a un abbandono precoce della scuola. Così facendo, tutti coloro che abbandonano il percorso scolastico si precludono numerose possibilità di tipo formativo e di investimento verso il proprio futuro come persone adulte.

Questo fa capire quanto una diagnosi precoce – nell’età prestabilita secondo le indicazioni date – sia fondamentale per intervenire sulla qualità di vita del bambino.


Una volta diagnosticato il disturbo si interviene attraverso un percorso riabilitativo: di che cosa si tratta?

Il percorso riabilitativo consiste in una serie di esercizi che migliorino le possibilità di apprendimento. I percorsi riabilitativi possono essere diversi fra loro: alcuni si focalizzano sul disturbo facendo fare esercizi direttamente su esso, altri invece potenziano funzioni cognitive trasversali alla base di tutti gli apprendimenti, come l’attenzione, la memoria, il linguaggio, la percezione e possono essere anche proposti con materiali digitali. Inoltre, al percorso riabilitativo occorre affiancare strumenti compensativi e a strategie dispensative.

Le strategie dispensative sono necessarie per evitare di mettere il bambino in situazioni di stress particolarmente complesse da gestire. Queste riguardano in particolar modo la vita scolastica del bambino. Ad esempio, durante le lezioni in classe le maestre eviteranno di far leggere a voce alta o non verrà richiesto di memorizzare le formule o le poesie a memoria per evitare l‘imbarazzo del bambino.

Gli strumenti compensativi hanno, invece, la funzione di ridurre l’impatto del disturbo nella vita del bambino, come durante l’attività dello studio.  L’esempio classico è l’utilizzo di ausili quali mappe concettuali o formulari che possono accompagnare il soggetto durante le interrogazioni o i compiti in classe. Attraverso il canale visivo, infatti, si può ovviare alle difficoltà di memorizzazione. Un’alternativa è anche quella di utilizzare la sintesi vocale grazie al computer: dentro i libri di testo è sempre presente un file in grado di riprodurre gli elementi testuali così da non richiedere allo studente la lettura degli stessi.


I serious game possono rappresentare un eventuale trattamento riabilitativo?

Non tutti i serious game sono uguali. Quando i serious game sono finalizzati ad allenare le funzioni specifiche dell’apprendimento, allora sono un ottimo strumento da utilizzare per la riabilitazione nel caso di tutti i disturbi dell’apprendimento. Questa tipologia di gioco, che si differenzia dal normale videogioco, è pensata per allenare determinate capacità attraverso la richiesta di specifici compiti. Grazie al suo aspetto ludico, è anche in grado di accrescere l’interesse e la motivazione del bambino e del ragazzo, che sarà quindi maggiormente coinvolto.

Ricordiamoci infine che migliorare e potenziare le capacità di apprendimento è sempre possibile, anche per coloro che hanno un disturbo specifico di apprendimento diverso dalla dislessia.