Condividere imparando: l’inclusività tra i banchi di scuola

DSA, ADHD, BES

Come è possibile imparare ad accettare e accogliere le diversità tra le mura scolastiche?
Ne parliamo con Sara Magri

“Inclusività” significa saper riconoscere e accogliere le diversità presenti in ogni persona. Una Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 ha introdotto il riconoscimento, all’interno delle scuole, di Bisogni Educativi Speciali. Un passo avanti concreto per aiutare tutti coloro che, durante il proprio percorso scolastico, affrontano ostacoli di natura sia clinica che emotiva.

Oltre al lavoro delle istituzioni, però, è fondamentale anche quello all’interno della classe, dove studenti e docenti collaborano per creare un’atmosfera di serenità e accoglienza.

Proprio su come creare un ambiente sereno e quindi inclusivo abbiamo discusso con Sara Magri ex ricercatrice nell’ambito degli interventi per bambini e ragazzi con difficoltà di apprendimento e disordini neuro-evolutivi presso il servizio SPEV ed è responsabile di corsi di formazione per professionisti, educatori, insegnanti in materia di disturbi dell’apprendimento per Develop Players.


Il riconoscimento normativo dei BES è stato fondamentale per la vita di molti studenti. Lo è stato altrettanto per l’incremento e lo sviluppo dell’inclusività all’interno delle aule scolastiche?

L’istituzionalizzazione dei Bisogni Educativi Speciali ha rappresentato un vero progresso della normale didattica quotidiana. Troppo spesso, infatti, si sceglie di “isolare” il percorso scolastico di chi presenta delle difficoltà portandolo, ad esempio, in un’aula differente. Dovremmo invece ricordare che ogni bambino sviluppa un profilo differente nelle proprie competenze. Esistono punti di forza e di debolezza e i BES ci ricordano che questi possono essere calibrati attraverso strategie didattiche personalizzate e inclusive.


Riguardo alle strategie, quali possono essere quelle più ottimali per la realizzazione di inclusività scolastica?

Le strategie più funzionali sembrano essere quelle che prevedono azioni di peer education, ovvero la creazione di un gruppo di lavoro in cui i bambini possano collaborare. Si è infatti visto che, all’interno di gruppo eterogenei, i bambini che presentano difficoltà riescono ad apprendere meglio attraverso l’esperienza con i propri pari. Dall’altro lato, invece, i bambini più competenti, attraverso la cooperazione, riescono a consolidare le proprie abilità. È quindi necessario uscire dal concetto di “didattica passiva” e rendere gli studenti protagonisti nei propri lavori. Questo aumenterà in loro la motivazione e accrescerà l’efficacia dell’apprendimento.


Le nuove tecnologie rientrano tra queste strategie?

Il digitale potrebbe essere utile nel momento in cui riesce a creare rete tra i bambini a patto che venga sfruttato in modo simultaneo dai bambini, con strumenti che permettano di giocare insieme. Inoltre, proprio l’idea di gioco aiuta a stimolare l’interesse e la motivazione al lavoro e per questo è sempre molto consigliata.


Si è parlato molto di collaborazione tra studenti: all’interno di una classe, qual è il numero consigliato di alunni per agevolare questo tipo di lavoro?

Le normative non indicano un numero specifico. Non è possibile definirlo in quanto ogni situazione varia in base al profilo e alle caratteristiche di ogni bambino. Generalmente, il gruppo troppo numeroso può risultare meno efficace. Le classi over 22 hanno delle problematiche più elevate rispetto ai gruppi più piccoli sotto i 20 alunni. Quindi, seppur non specificato, è consigliabile una classe numericamente modesta o, nel caso di un gruppo numeroso, la strategia migliore è quella di creare più gruppo eterogenei di lavoro.


Quanto è fondamentale nell’inclusività scolastica la figura del docente?

Il suo ruolo è di primaria importanza nel far comprende agli alunni che ogni persona presenta tratti di debolezza e che questi non rappresentino un problema, piuttosto una caratteristica personale.  Prima di riuscire a creare inclusività in una classe, è necessario che l’insegnante in primis impari a gestire la diversità, vivendola in prima persona come qualcosa di quotidiano e non come una difficoltà. solamente una volta interiorizzato questo comportamento riuscirà a trasmetterlo ai suoi studenti in maniera naturale, portando alla luce le loro capacità di accettare e accogliere le differenze.

È fondamentale, infatti, che gli studenti abbiano una corretta percezione della diversità. Altrimenti può risultare molto più complicato accettare e comprendere il perché alcuni alunni vengano aiutati maggiormente perché appartenenti alla popolazione dei BES, portando il gruppo di pari ad escludere chi rientra in quella che può apparire come una “fascia protetta e agevolata”.


Oltre al ruolo centrale della scuola può essere necessario un appoggio esterno come quello delle istituzioni territoriali?

Le strutture presenti sul territorio sono un appoggio importante. Possono dare supporto alle famiglie nell’organizzare attività sia a supporto della didattica che attività ricreative e sportive che comunque migliorano il benessere e offrono ulteriori opportunità di crescita.
In generale, la pratica rende l’apprendimento più efficace: il “fare” rafforza l’aspetto mnemonico molto più del solo studio teorico. Questo avrà un impatto significativo per coloro che presentano delle difficoltà nell’apprendimento.