La teleriabilitazione in Italia: miraggio o realtà?

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Gli ambienti sanitari stanno sviluppando nuove forme di riabilitazione digitali come la teleriabilitazione.
Il nostro Paese sembra però arrestarsi davanti a questa evoluzione.

La teleriabilitazione è una forma di presa in carico e assistenza da molto tempo conosciuta e utilizzata a livello internazionale nell’ambito dell’Health Technology Assessment. Questa tipologia di intervento, più diffusa e conosciuta per le patologie di ordine neuromotorio e in particolare per l’età adulta, consente di offrire servizi di riabilitazione utilizzando tecnologie di assistenza a distanza.

Negli ultimi anni e, soprattutto, con le difficoltà imposte dal lockdown, la teleriabilitazione ha però visto una crescita e un ampliamento del suo utilizzo. Questa ha iniziato a interessare anche i pazienti più piccoli affetti da disturbi del neurosviluppo come quelli di apprendimento, del linguaggio o dell’attenzione e iperattività.

Abbiamo parlato con il dottor Luigi Marotta, Logopedista e Membro della Consensus Conference sui DSA dell’Istituto Superiore di Sanità oltre che dell’Associazione Scientifica di Sanità Digitale, per capire in cosa consista questo tipo di intervento e come si sta sviluppando all’interno del nostro Paese.


Che cosa prevede la teleriabilitazione in età evolutiva?

Come per la telemedicina, con la teleriabilitazione viene scelto un percorso riabilitativo del bambino attraverso tecnologie che consentono di ridurre al minimo l’impatto che può provocare la distanza fisica. La necessità di proporre interventi a distanza anche in età evolutiva ha richiesto uno specifico adattamento delle modalità rispetto ai tradizionali metodi riabilitativi. Il bambino, infatti, deve essere inserito in un setting adeguato, con spazi pensati alle sue necessità. Inoltre, sarà per lui necessario il sostegno di un caregiver in funzione di mediatore non solo tecnologico ma anche psicoeducativo. I pazienti più piccoli, infatti, non sempre sono autonomi nell’utilizzo delle tecnologie e soprattutto in grado di auotregolarsi in un setting di questo tipo. L’affiancamento di un adulto adeguatamente formato permette oltretutto che si inizi ad educare il bambino fin da piccolo ad uso funzionale delle tecnologie.


Questo approccio viene considerato efficace quanto un intervento in presenza?

In generale, la letteratura sottolinea che i due processi possono essere entrambi efficaci in egual misura. Chiaramente un percorso integrato, dove alla teleriabilitazione viene affiancato un intervento in presenza, ha una ulteriore efficacia. Alcune dinamiche di gioco associate alle nuove tecnologie aumentano la motivazione e facilitano la focalizzazione dell’attenzione. Le nuove tecnologie permettono anche modalità di gioco condiviso a distanza che altrimenti non sarebbero possibili. Dobbiamo però ricordare che la scelta di questo genere di intervento deve essere valutata in base al profilo di funzionamento cognitivo, linguistico, motorio, adattivo ed emotivo del bambino. Per ottenere i migliori risultati, infatti, ogni intervento deve partire dalle potenzialità del bambino, tenere conto delle caratteristiche individuali, delle risorse ambientali ed essere quindi realmente personalizzato e ottimizzato.


Dopo aver accertato che il percorso sia adeguato al bambino, quali attori intervengono?

Quando si parla di teleriabilitazione si intende un percorso seguito da clinici, a differenza della teledidattica che è una metodologia che può essere seguita anche da insegnanti e pedagogisti. Anche se le diverse figure tra loro devono comunicare, hanno obiettivi e prerogative diverse: una lavora sullo sviluppo clinico e l’altra sullo sviluppo atipico. La strategia più efficace è sicuramente quella di unire i due percorsi, per facilitare maggiormente lo sviluppo del bambino che presenta un disturbo.

In ogni caso, è ovviamente necessario saper utilizzare i supporti tecnologici adeguati. Per questo tutti gli attori coinvolti nel training a distanza, dal clinico all’insegnante, dal genitore al caregiver di riferimento per il bambino, devono essere specificatamente formati e consapevoli delle richieste di adattività ed adattabilità tipiche dell’uso di nuovi strumenti.


Visto il suo potenziale, come viene utilizzata la teleriabilitazione in Italia?

Nel nostro Paese questa metodologia si è evoluta molto tardi ed è cresciuta prevalentemente durante l’emergenza causata dal Coronavirus. In paesi di grandi dimensioni, come ad esempio il Canada, l’Australia, o l’India, questa viene sperimentata e utilizzata da almeno 30 anni. I questi paesi si è dimostrata essere uno strumento fondamentale per ovviare alle difficoltà che le grandi distanze porrebbero ai pazienti. Ad oggi in Italia, mentre sono state recentemente pubblicate le Linee Guida sulla Telemedicina, non abbiamo ancora sviluppato delle linee guida specifiche in merito alla teleriabilitazione.  Abbiamo però provato a riadattare quelle internazionali alla nostra realtà: esistono, infatti, molti documenti al riguardo redatti dalle principali associazioni scientifiche nazionali ed è, inoltre, in fase di discussione un progetto dell’Istituto Superiore di Sanità proprio su quest’argomento.


Se un genitore volesse tentare un approccio alla teleriabilitazione per il proprio figlio, a chi dovrebbe rivolgersi?

Purtroppo ad oggi questa è riconosciuta come terapia erogabile dal Servizio Sanitario Nazionale solo in poche regioni. Questo rende molto più limitata la possibilità di accesso gratuito alle cure telematiche da parte delle famiglie. La questione è diventata ancora più grave a seguito della crisi pandemica per il  Covid.  Recentemente è stata però pubblicata una circolare del Ministero della Salute che invita le Strutture del Servizio Sanitario Nazionale a tener conto di questa tipologia di intervento. La cosa sarà ovviamente sarà affrontata a livello regionale, come è previsto dalle vigenti normative. Speriamo in una rapida presa d’atto e applicazione da parte dei servizi sanitari regionali. In questo modo potrà essere garantita una sanità più “accessibile” a tutte le famiglie italiane.